PILLOLE DI DIRITTO CANONICO

Gravidanza indesiderata e nullità matrimoniale

Due giovani innamorati hanno dei rapporti intimi, a seguito dei quali la ragazza scopre di essere rimasta incinta. I genitori prospettano l’immediata celebrazione del matrimonio, richiamandoli fortemente alle loro responsabilità nei confronti del nascituro e anche per salvare l’onore delle due famiglie. Questi giovani si sposano dunque malvolentieri e presto arrivano alla separazione. Il ragazzo istituisce la causa di nullità del suo matrimonio sostenendo di essere stato costretto. Tenendo presente che l’esercizio della libertà è inscindibilmente legato alla responsabilità riguardo alle proprie azioni, come può essere valutata nel caso concreto la gravidanza alla luce del can. 1103? È un fattore che ha limitato la libertà o, al contrario, era giusto accelerare la decisione di sposarsi?

I termini utilizzati nella descrizione di questo caso fanno pensare ad un consenso fortemente viziato, ma probabilmente valido. Tre sono gli elementi che emergono a prima vista: la gravidanza non desiderata, il richiamo dei nubendi alle loro responsabilità, il consenso prestato malvolentieri. Sembra che i richiami dei genitori non abbiano forza di una costrizione. D’altro canto sembra che i due giovani si siano assunti le loro responsabilità, quindi si sono autodeterminati al matrimonio, anche se malvolentieri. Il punto specifico, è quello della responsabilità che richiede, però, una valutazione complessiva. In una tale situazione, l’azione dei genitori ha spesso come obiettivo principale (talvolta forse non del tutto consapevole) quello della protezione della propria immagine a livello sociale. Perciò, insistono nei confronti dei giovani perché si sposino, argomentando in vari modi (il nascituro ha bisogno anche del padre, comunque della famiglia); il ragazzo, per conto suo, sente l’obbligo di assumersi i propri doveri nei confronti della ragazza che ha reso madre. Ma, d’altro canto, i due decidendosi alla celebrazione del matrimonio, devono essere anche responsabili in vista della realtà che intendono istituire, ovvero del matrimonio e della famiglia. Dalle statistiche risulta infatti che i matrimoni celebrati in queste condizioni hanno poche possibilità di sopravvivenza. E non è affatto responsabile riparare un errore commettendone uno ancora più grande. Inoltre, se i due si sposano comunque, un’eventuale nullità del loro consenso matrimoniale andrebbe analizzata anche sotto il profilo della sufficiente, o no, discrezione di giudizio, specie sotto il profilo della libertà interna. Non raramente, infatti, in tali casi il consenso è nullo a norma del can. 1095, n. 2, a causa di un combinato effetto di vari fattori come: una qualche immaturità psico-affettiva, inaspettata gravidanza, pressione da parte dei genitori e talvolta di un più ampio ambiente, il disagio interiore e l’incertezza del futuro, specie se manca il supporto della famiglia di origine.

Avv. Anna Tatulli

Divorzio breve e scioglimento della comunione dei beni

La legge sul divorzio breve ha aggiunto un nuovo comma all’articolo  191 c.c., con il quale anticipa lo scioglimento della comunione dei beni. Se prima occorreva aspettare la fine del processo e dunque la sentenza di separazione (in caso di separazione giudiziale) o l’omologa (in caso di separazione consensuale), ora sin dall’udienza Presidenziale, dove i coniugi sono autorizzati a vivere separati, si verifica l’automatico scioglimento della comunione legale.

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I nonni non hanno diritto all’affidamento dei minori di coniugi separati

Per le domande di affidamento nel procedimento di separazione e divorzio, il nuovo art. 155 c.c., novellato dalla Legge 8 febbraio 2006 n. 54, si è limitato ad affermare che, in caso di separazione tra i genitori, il figlio minore ha non soltanto il diritto “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi” ma anche “di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale“. La norma, indubbiamente, riconosce e valorizza il ruolo dei nonni nella vita dei nipoti, attribuendogli un sicuro rilievo non soltanto in linea generale, ma anche nella prospettiva del conflitto tra i genitori.  Per quanto la disposizione sia protesa a favorire l’ambiente domestico e con esso l’equilibrio del minore nel suo complesso, dalla stessa non può essere argomentata, in capo agli ascendenti, una legittimazione piena e diretta nei processi di separazione e divorzio. La finalità della norma, infatti, è incentrata sul diritto del minore, ma non attua un simmetrico riconoscimento in capo agli ascendenti, nonni,  del diritto all’affidamento del minore qualora i genitori, coniugi separati, non siano più in grado di provvedevi. Tanto al fine di salvaguardare la posizione del minore, assicurandogli una positiva e serena crescita, ed evitare che subisca eccessivi contraccolpi a motivo del contrasto familiare (lontano, dunque da conflitti interfamiliari) diventandone vittima incolpevole. E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione, con sentenza n. 8100 del 20 aprile 2015.